“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.”
In Mani Sicure. Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d’inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola».
IN MANI SICURE. In poche righe incontriamo per ben due volte l’immagine della mano: quella di Gesù e quella del Padre. È un’immagine suggestiva ed estremamente eloquente. Con la mano afferriamo le cose, con la mano proteggiamo, custodiamo e perfino riscaldiamo. Con la mano gesticoliamo e quindi ci esprimiamo. Diamo la nostra mano nel saluto. Stringiamo la mano e c’impegniamo a un patto, a una promessa. Alziamo la mano, in gesto di benedizione. Con la mano esprimiamo tenerezza, consoliamo. Basti pensare alla mano di una mamma che accarezza il suo bambino, oppure alla mano che si tende a stringere quella di un malato o addirittura di un morente. Per questo ci è più facile afferrare l’intensità e la profondità di quel dire, da parte di Gesù, che né dalla sua mano né da quella del Padre nessuno potrà mai essere rapito, se crede in Lui. Dunque ci sono due mani che ci tengono stretti, sulle quali siamo adagiati come una cosa preziosa, come un bimbo in braccio a sua madre. In quelle mani c’è la vita. “Mi abbandono, o Dio, nelle tue mani.”
Buona giornata!
Le Sorelle Clarisse (in parte)