Oboe nel barocco. Il termine francese hautbois è stato generalmente tradotto come «legno acuto» (in opposizione a grosbois «legno grave»), ma significava originariamente «legno fragoroso », secondo l’antica distinzione francese tra instruments hauts et bas. Il termine italiano oboè, deriva da hautbois ed è una corretta trascrizione della parola francese, come veniva pronunciata nel ‘700. Pur se i francesi avevan formato, e occasionalmente usato, questa parola per le bombarde già sul finire del ‘400, la storia degli strumenti musicali applica il termine « oboe » soltanto ai moderni strumenti che i Francesi svilupparono nel tardo 1600 dalle vecchie bombarde. La più antica forma di oboe moderno, quale noi la troviamo in esemplari costruiti tra il 1660 circa e il 1760, aveva una canna internamente stretta e conica, il diametro dell’estremità inferiore essendo il doppio di quella superiore. La testa dello strumento aveva una sagomatura a coppa, probabilmente un estremo vestigio del disco orientale per appoggiar le labbra. Quale caratteristica distintiva questa forma di oboe presentava due coppie di piccoli fori tagliati, in corrispondenza reciproca, davanti e dietro che permettevano all’esecutore d’ottenere Fa3, Fa3 #, Sol3 e Sol3 # chiudendo uno o tutt’e due i fori d’una coppia. Inoltre, l’oboista aveva tre chiavi a disposizione: una aperta per aggiungere un Do3 e due altre, sul lato destro e sinistro, per produrre il Re3 #, col mignolo destro o sinistro, a scelta (Fig. 117). Il suono degli oboi moderni presenta dodici o più parziali. La loro formante è molto acuta e sonora, cosicché i parziali compresi nella zona formantica sono anche più forti della fondamentale e conferiscono al suono la sua caratteristica qualità penetrante (Fig. 118). L’oboè d’amore, in francese hautbois d’amour, era un oboe più grande in La,, tagliato una terza minore sotto l’oboe usuale, della lunghezza di 60-62 cm, con una campana piriforme per addolcire il timbro. Era insomma un legame tra i due tagli dell’oboe ordinario e del corno inglese. L’oboè d’amore venne creato intorno all’anno 1720, molto probabilmente in Germania. Le prime attestazioni del suo uso si trovano nell’opera Der Sieg der Schónheit (Amburgo 1722) di Georg Philipp Telemann; nella cantata n. 37, Wer da glaubet (1725) di ) Johann Sebastian Bach; e nell’opera Ludwig der Fromme (Wolffenbiittel 1726) di Georg K. Schiirmann. Questo strumento, dal timbro caldo e appassionato, cadde nell’oblio più completo alla metà del ‘700, ma è stato recentemente riscoperto. Il belga Charles Mahillon fu il primo, nel 1874, a ricostruirlo in un modello moderno per esecuzioni autentiche delle quarantanove Cantate e delle due Passioni nelle quali Bach lo prescrisse; nel 1904, poi Richard Strauss lo incluse nell’organico orchestrale della sua Sinfonia Domestica, per caratterizzare il « bambino che sogna ». Alcuni compositori francesi han seguito il suo esempio. Parallelo alla evoluzione dalla bombarda all’oboe fu lo sviluppo dal pommer contralto all’oboe contralto in Fa,, tagliato una quinta sotto l’oboe ordinario. La più antica forma dell’oboe contralto era diritta con campana svasata. La campana svasata che seguitò a esser presente in alcuni esemplari sino alla seconda metà del ‘700, venne solitamente sostituita da una campana piriforme, la quale aveva lo scopo di addolcire il timbro, assai ruvido degli oboi più grandi. Gli oboi contralto a forma diritta con simili campane vennero denominati oboi da caccia; esistono testimonianze dell’uso di oboi nelle partite di caccia sul principio del ‘700. Gli oboi da caccia venivan detti, non si sa perché, cors anglais, o « corni inglesi », quando assumevano una forma ricurva o ad angolo; nel 1800, tuttavia, i corni inglesi ripresero una forma diritta (Figg. 119, 120). Gli oboi con campane piriformi, al pari dell’oboè d’amore e del corno inglese non furono una invenzione ex novo. Strumenti del medesimo genere si trovano già attestati nel XIII secolo nelle miniature delle Cantigas en loor de Santa Maria di re Alfonso el Sabio, il cui manoscritto si conserva all’Escurial; inoltre alcune regioni della Francia hanno conservato la stessa forma negli strumenti chiamati musettes, che non bisogna però confondere con le zampogne dallo stesso nome.