Oboe in Egitto

Oboe in Egitto……… ad eccezione di qualche arpista cieco e di sacerdoti sonatori che seguitano nell’antica tradizione, essi hanno oramai…

oboe in egitto

…perduti il riserbo e la dignità che si trovano invece testimoniati nei rilievi e nelle pitture eseguite tra il 3000 e il 1500 a.C.

Oboe in Egitto… Agli uomini sono subentrate professioniste femminili e non è impensabile che magari esercitassero professionalmente anche la prostituzione. Il più eccitante dei loro strumenti, quello più capace di provocare emozioni, era l’oboe. 
Oboe. L’oboe (ma-t) era provvisto di un’ancia doppia per spezzare il soffio dell’esecutore. Un’ancia doppia è costituita da due linguette di canna o due fili d’erba uniti insieme. La parte inferiore veniva fasciata così da formare un tubicino da poter essere infilato nell’apertura in alto dell’oboe. L’estremità superiore dell’ancia, con i capi liberi e accostati delle linguette, si presentava, vista dall’alto, come una piccola fessura ovale. Secondo il consueto funzionamento dell’ancia doppia, quando l’esecutore introduceva nella propria cavità orale le linguette e soffiava, esse entravano in vibrazione chiudendosi e discostandosi tra loro alternativamente: così da far entrare nel tubo dello strumento un flusso d’aria pulsante. Gli oboi dell’Egitto erano ricavati da una sottile canna della lunghezza di 60 cm circa e del diametro di 1 cm. Essi erano sempre usati in coppia: si introducevano in bocca assieme e assieme vi si soffiava dentro, ma non erano legati tra loro. Quello di sinistra eseguiva un bordone grave in accompagnamento alla melodia demandata all’altro. L’esistenza d’un suono di bordone la possiamo inferire da tre fatti: la posizione delle dita come appare nella iconografia musicale egizia; la pratica esecutiva dí altre regioni, l’India a esempio; il reperimento archeologico di una canna d’aerofono doppio ad ancia con tutti i fori delle dita otturati a mezzo di cera, a eccezione d’uno solo. I fori per le dita degli oboi egizi, per lo più in numero di quattro sulla canna di destra e tre su quella di sinistra, hanno sostituito l’oggetto di alcune importanti ricerche. Vari studiosi, Frangois-Joseph Fétis, T.L. Southgate, Victor Loret, Vic­Charles Mahillon, cercarono di scoprire la natura delle scale sperate dagli Egizi e a tal fine si servirono degli strumenti recuperatici dall’archeologia oppure di loro riproduzioni, fatte o scopo. Tutti i loro tentativi andarono a vuoto perché essi a lasciarono alcune premesse essenziali. Gli strumenti egizi, costruiti in materiale tanto delicato e deperibile, rimasti nel terreno per millenni e traslati poi entro le bacheche dei musei con brusche variazioni di temperatura, si sono certamente contratti accorciati. Anche variazioni microscopiche sono sufficienti a produrre alterazioni nel suono e negli intervalli. Inoltre, tutti gli esecutori correggono inconsciamente le intonazioni, adeguando le altezze dei suoni emessi al sistema musicale cui sono stati educati, e correzioni di questo genere risultano particolarmente facili in uno strumento che concede oltre un semitono al gioco di otturazione parziale o completa di ogni foro. E poi noi non sappiamo se e in qual misura gli antichi esecutori facessero uso della semiocclusione dei fori e della diteggiatura a forchetta. Infine, quegli esperimenti vennero fatti con imboccature moderne pur essendo ben noto che materiale, forma e misura dell’imboccatura influiscono, e in maniera determinante, sull’altezza dei suoni dello strumento. Il lettore potrà immaginare quanto fossero credibili le conclusioni che alla fine se ne trassero e non potrà che consentire con Giuseppe Verdi, quando egli scriveva al conte Arrivabene, a proposito dei tentativi di Fétis di sonare un flauto egizio: « Io detesto questo gran ciarlatano, non perché abbia detto tanto male di me, ma perché mi ha fatto correre un giorno al museo Egiziano di Firenze (ti ricordi? siamo andati insieme) per esaminare un Flauto antico su cui pretende nella sua Storia Musicale d’aver trovato il sistema della musica antica Egiziana… Figlio d’un cane!… Così si fa l’istoria! E gl’imbecilli credono… » L’autore di questo libro, in Die Musikinstrumente des alten Aegyptens, e in Die Tonkunst der Alteri Aegypter, cerca di sostituire questo genere di esperimenti con la misurazione della distanza tra i fori come base per determinare una scala che sia funzione della progressione geometrica delle distanze tra i fori. Intanto, lo studioso americano Charles Kasson Wead ha dimostrato che generalmente, in qualsiasi tempo e luogo, la disposizione dei fori non fu ispirata a principii musicali: solo nel 1832 il flautista Theobald Boehm pervenne alla sua riforma nella costruzione del flauto. Nella ricerca di un principio, d’una regola non musicale, tanto Victor Loret che l’autore di questo libro cercarono di identificare le distanze tra i fori degli oboi, clarinetti e flauti egizi con le misure lineari dell’antico Egitto. Questa via di risoluzione del problema venne pure imboccata da Erich M. von Hornbostel. I generali risultati tuttavia ver­ranno presentati in quest’opera soltanto nell’VIII capitolo, perché è nella trattazione della musica cinese che essi trovano un posto appropriato.

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