In Grecia 2

Oboe in Grecia 2 parte

oboe in grecia 2

In Grecia 2 parte. Soltanto dal V secolo a.C. il numero dei fori per le dita, la loro disposizione e la loro combinazione nel suonare resero possibile la pratica di tutti e tre i modi suddetti. Più tardi il numero dei fori venne portato a quindici e gli artigiani che costruivano gli strumenti furono costretti a inventare speciali accorgimenti per l’occlusione o la semi occlusione di quei fori che non potevano essere raggiunti dalle dita. Essi dotarono le canne di anelli che le fasciavano in corrispondenza d’un foro e recavano anch’essi un foro identico: con la loro rotazione questi anelli permettevano di lasciare aperti o di mantener chiusi i fori, e a volte l’apertura di questi anelli era munita di un’appendice a coppa per abbassare l’altezza del suono. Si son ritrovati degli oboi doppi così perfezionati a Ercolano e a Pompei. È un problema di ardua soluzione scoprire quali destinazioni musicali questi oboi doppi avessero nella cultura greca. Un solo autore dell’epoca, il romano Marco Terenzio Varrone (1 secolo a.C.), ci offre un piccolo indizio quando chiama una delle canne di un oboe doppio tibia incentiva, e l’altra tibia succentiva. Egli però non dà ragione di questa nomenclatura. Una possibile interpretazione dell’enigmatico passo si potrebbe trovare riferendosi all’uso del termine succinere nella Chiesa primitiva. In quell’uso il verbo stava ad indicare quando l’assemblea liturgica doveva rispondere con « Alleluia » o « Amen ». Incinere al contrario significa fuor d’ogni dubbio « intonare »; il poeta Properzio, contemporaneo e conterraneo di Varrone, usa incinere in relazione a « varios ore modos », cioè: « intonare varie melodie con la bocca ». Allora una canna dava l’intonazione e l’altra la risposta. Ma ciò sarebbe ancora incomprensibile. Se la canna d’intonazione veniva sonata insieme con la voce del cantore, ciò vuol dire che le due canne avrebbero dovuto essere usate alternativamente, nel qual caso riuscirebbe difficile capire perché al cantore occorressero due canne, ossia uno strumento doppio. Sarebbe logico, al contrario, suppone una intonazione in senso stretto, come una nota sonata per agevolare il cantore e mantenuta per tutta la durata del versetto. La seconda canna forse ‘a il ritornello mentre eventualmente il bordone si aggiungeva al sostegno come nell’antico Egitto e nel moderno Oriente. Ogni generalizzazione è però da evitare. In una èra di quasi duemila anni e all’interno d’un impero immenso mutarono probabilmente gli stili esecutivi non meno di quelli architettonici ed arti belle. Il singolo oboista frigio che accompagnava la tragedia greca e che un poeta s’era augurato tacesse, per causa della sua « loquacità », di certo oscurava l’idea melodica con cascate di passi virtuosistici, e volatine o roulades alla maniera degli òboisti orientali d’oggi. Il suo stile esecutivo potrebbe essere molto diverso dall’arte di quella fanciulla oboista che di prima mattino con Alcibiade ubriaco venne a picchiare e strepitare , porta per partecipare al simposio platonico con Agatone. Ed entrambi questi stili d’esecuzione potrebbero essere stati diversi a loro volta da quello degli oboisti in gara ai giochi pitici di Delfo…..

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